E’ iniziata ieri pomeriggio, a Castelfranco Veneto- Treviso, presso la galleria Arte & Media, la mostra dello scultore Mario Iral, docente di scultura e discipline plastiche presso l’ Istituto d’Arte di Padova. Alla vernice, della bipersonale, tenuta con il pittore Gianfranco Squizzato, hanno partecipato molte persone, anzi, sembrava fosse già Natale, perché tutti, passanti compresi, non solo gli invitati, hanno assistito alla presentazione delle opere e goduto dell’allegria del breve rinfresco che è seguito. Le opere di Iral hanno, dentro, qualcosa che le fa assomigliare ad un innesco, sono cioè la miccia animata della relazione vivissima che si stabilisce tra chi guarda e la memoria di ognuno.
Quel tronco, che ha perso radici, rami e foglie, riesce a tra-guardare oltre il suo legno, riesce a raggiungere il nostro, albero della conoscenza, e invaderci di qualcosa che non sono parole, ma anime, sì, anime di luoghi che hanno nomi antichi, che hanno navigato dentro il mito e il sacro, il vuoto del labirinto dentro cui, nell’atto di ri-uscire, troviamo ancora una volta noi stessi, l’unico prossimo che avevamo scordato di raggiungere, il centro eccentrico.
Nel catalogo, di cui ho curato la lettura critica delle opere e che presenta alcune tracce dei tanti percorsi dell’artista, ho cercato di riversare e dare voce alle storie ascoltate in quella moltitudine di presenze, fattesi vicine sin dal primo incontro quando, varcata la soglia del laboratorio, mi sentii persa e mi resi conto che quello, quell’atto, era l’unico modo per accedere alla loro parola.
Lascio, qui di seguito, un breve stralcio del percorso presentato nel catalogo presentato alla mostra, è la porta che si apre nel re-cinto, là dove abitualmente lavora Mario Iral.
Una piccola osservazione. Avete fatto caso come il nome dell’artista, riflesso nel vetro in-visibile a chi gioca con gli specchi mostri ciò che sta dietro lo specchio del temp(i)o?
IRAL/ LARI
Lar(es) erano le divinità della domus, gli dei del fuoco della casa…ma è il corpo la nostra domus, aurea è la passione, il fuoco che ci in-segue. Strano come il caso snoccioli i suoi casi, non vi pare?
Per godere appieno la mostra bisogna proprio andare fino a lì, a Castelfranco, in via Roma 38, di rimpetto alle antiche mura cittadine,dove tra poco, si aprirà una rassegna degna di nota: è dedicata a Giorgione!
Da EROS E THANATOS: due battenti della stessa soglia.- novembre 2009
Progetto grafico e impaginazione: Arch. Antonia Zecchinato
Foto e sculture: Mario Iral
Testo critico: Fernanda Ferraresso
Stampa: Fotolitoexpress
IL RE-CINTO
“Parto nel giardino”. Come accerchiata o cercata, una folla di alberi, o meglio tronchi di qualcosa che riconosco essere stati alberi, maestri di linguaggi in vie d’aria e terra, sembra appressarsi. Ac-con-discendono al dialogo. Imparo. Dai loro nascondigli nascono. C r e s c o n o: istantanei in chi si avvicina diramano i sensi. E’ come percepire un capovolgimento, l’attimo, il momento del parto, in cui il neonato modifica il suo assetto per uscire, attraversare la soglia tra il là e il qui. Partire – patire, muoversi nelle vie che sono il cammino dello spirito, ciò che ci anima, occupando un “posto”, l’a-posto(lo) che è messaggio e messaggero dell’intero. E il viaggio riesce ad iniziare. Si vede la soglia: si è iniziati ad un lungo per-cor-so in cui l’universo tras-ferisce sé, in se stesso, in un DNA comune che dentro ci conta, ci canta, c’incanta. Eppure, solo poco più in là, mi sembra di non capire più nulla. – Nel bosco sacro non penetra la luce, come dice Licomede in una antifrasi, ma gli opposti. Nella contrapposizione c’è l’origine, anche quella delle parole, recinti e recinzioni anch’esse, corpi di vuoto, non delle cose e portatrici di un senso che le e v a d e.
E tra tutti, il più sacro dei luoghi, origine e parola complessa, intreccio magnifico: la vita. Si fa parola torrente-corrente, ci trascina al giardino dell’eden, nel ventre della madre, se-me del semel per cui “ una volta eredi (si è) sempre eredi”. Come a dire che l’uomo, ogni gene, è razione di essenza che nutre le altre generazioni, ed è corpo visibile di Eros, divinità incarnatasi, corpo della ferita (fero fers …: portare. Bhar-far, fer: tagliare, forare, lottare, battere, con il ferro, in modo da rompere la continuità della carne, ferire). Attraversando la soglia viva di queste opere, quella V del taglio antico, che separò uomo da uomo e specie da specie, l’i(g)noto subisce la perdita di una forma complessiva, una vita caotica, che non necessita di es-primersi, l’a(c)qua dell’inizio, remota, segreta, li-qui-da il prima e assume il corpo dell’ora.
…
Tralascio le tracce per offrire alcune inquadrature delle sculture e offrire in diretta, o quasi, una visione della bellezza, di una poesia mai recisa.
Pettine
Ragnatela
Filodondolo
M e l a
Mentre il re è nel suo recinto,/ il mio nardo spande il suo profumo./ Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra,/ riposa sul mio petto./Il mio diletto è per me un grappolo di cipro/ nelle vigne di Engàddi./ Come sei bella, amica mia, come sei bella!/ I tuoi occhi sono colombe./ Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!/ Anche il nostro letto è verdeggiante./ Le travi della nostra casa sono i cedri,/ nostro soffitto sono i cipressi. – Cantico dei Cantici, Capitolo 1- Primo poema-Duetto.
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culla
Notizie biografiche:
Mario Iral è nato nel 1952 a Belluno, si diploma presso l’Istituto d’arte di Padova nel 1972, consegue la laurea in architettura presso l’università di Venezia nel 1977. Dal 1978 è docente di scultura e discipline plastiche presso l’Istituto d’arte P. Selvatico di Padova e nel contempo svolge la professione di scultore. Negli anni novanta fa parte del gruppo “Visiva anni 90” con cui espone in Italia e all’estero, contemporaneamente partecipando e vincendo numerosissimi concorsi.
Per richieste e/o informazioni da rivolgere direttamente all’artista:
e-mail mario.iral@fastwebnet.it
è una pagina aperta, alla scoperta, all’intuizione, alla bellezza
forse all’inizio ci si può sentire persi, come in una strada troppo vasta e mai percorsa, “osservati” quasi da varie presenze
poi prevale un senso di gratitudine verso l’arte che rappacifica con noi stessi
complimenti a voi
con grande affetto e riconoscenza
Non ho pubblicato molti lavori, varrebbe la pena di incontrarle, quelle sculture, per sentire quanto ho anch’io sottolineato relativamente all’incontro,poi…il resto è una traccia tra le tante possibili letture. Ciao Elina,ferni
passavo di qui, ferni. che bella sensazione dev’essere stata per te entrare in questo bosco, perderti tra questi profili di legno che sembrano riflettere mito e richiamare bellezza! la mia ammirazione per Iral/Lari e un grazie a te per averlo proposto,
un caro saluto,
annamaria
grazie della visita, è sempre un piacere l’incontro.
Sì, una sensazione di grande apertura.Anche se il laboratorio non è gigantesco, dentro vi scorre la linfa della bellezza e si espande in tutto ciò che tocca. Ciao, riporterò a Mario le tue osservazioni.Grazie,ferni
ah! non l’ho mai detto ma Iral, Mario per gli amici, mi ha fatto dono proprio di quel legno che appare in apertura del post.Lo tengo nel mio studio e …ci parlo, spesso.
sarebbe bello esserci. sfiorare e sentire…bellissimo lavoro.