Amnesie amniotiche- Pasquale Vitagliano

costruzione del labirinto cretese

Tra i molti simboli pervenuti dall’antichità quello  del labirinto è strettamente connesso con la Croce, poiché  la croce è la figura di partenza per tracciare un labirinto, e poiché entrambi ruotano attorno ad un centro.

Lo spazio, centrale, attorno cui  il labirinto si forma, è uno spazio sacro, ovvero vuoto, in cui avvengono passaggi misterici, inizi e/o iniziazioni.

Guénon René,  in Simboli della scienza sacra, riflette su ciò che rappresenterebbe il Centro. Dice: – Il Centro è l’origine, il Principio, il punto di partenza di tutte le cose; è il punto principiale, senza forma e senza dimensioni, invisibile e di conseguenza la sola immagine che si possa dare dell’Unità primordiale; da esso sono prodotte, per irradiazione, tutte le cose; … lo spazio che esso empie del suo irradiamento è il Mondo nel senso più ampio della parola, l’insieme di tutti gli esseri e di tutti gli stati d’esistenza che costituiscono la manifestazione universale; .. la rappresentazione più semplice di quest’idea è il punto al centro di un cerchio , dove il punto è l’emblema del Principio e il cerchio quello del mondo…Esso inoltre rappresenterà il punto mediano tra i poli opposti della circonferenza, realizzando pertanto il luogo dove le tendenze contrarie si neutralizzano e si trovano in perfetto equilibrio.-

E questa immagine che cosa centra? Centra, unitamente a quanto appena riportato, un altro bersaglio.

Mi è capitato di leggere il libro di Pasquale Vitagliano, Amnesie amniotiche, edizioni Lietocolle – 2009, mentre stavo lavorando ad un’altra ricerca che aveva come centro fondamentale il labirinto. Capita, e personalmente mi capita spesso, che la casualità fornisca dei sensi di percorrenza il-luminanti, quando addirittura non sono minanti. Scrivono sulle pareti che impedivano di vedere oltre. Ma partiamo dall’inizio, dal punto in cui ci troviamo qui, di punto in bianco, come si dice, in questo mondo e abbiamo completamente scordato tutto l’ante-fatto, ov-vero il percorso dentro l’uovo- ovulo, la cellula madre che ci ha tras-portati fino a queste de-rive della notte. Dal nostro microcosmo, quello del ventre materno, ad un altro ventre in cui ci sentiamo esterni, spesso es-tra-nei…labirintici noi stessi di cui non ricordiamo parentele, gene-r(el)azioni intere disperse in un antefatto dimenticato.

In quel re-cinto della madre, all’interno del palazzo, nel dedalo che ha in sé il corso di due fiumi, il Lete dell’oblio e il nutrimento delle acque di  Mnemosine, il minos, cioè il re, attraversando le corna della luna, le bacheche della storia, le bianche ossa  del bacino, viene al mondo. Cosa vede ha provato a dircelo Platone, nel mito della caverna, poichè dal ventre alla cavità del grande percettore, il precetto quasi non cambia: in-parare i colpi.

Ombre, solo un mondo di ombre, quello del neo-nato, costretto a ripetere la nascita più e più volte nella es-perienza, una necessità per-ire, per percorrere la vi(t)a. Ma per farlo, deve effettuare una continua rimessa in gioco della palla, anzi del punto da cui lanciare la palla, stendere la propria pelle, superando il confine del pensiero, degli affetti, di ogni legame o legante. E per far questo trovare oggetti, non con-tun-denti, che sbranino la carne della storia, per nutrirsene a piacimento, anche quando la carne, si sente, è la propria.

La parola ingloba, incarnandosi, si fa percorso all’interno del cervello, dell’argento del midollo, si fa sistemico e sistematico tra-duttore di un involuto percorso che, come nel labirinto antico, conduce  inesorabilmente al suo centro. E il centro non è raggiungibile che per sconfinamento. Rompersi il capo, per trovare la f(r)onte, per superare le ombre e riconoscere le or-me. In un dedalo di sensi chi può, e come, trovare ciò che è l’oro, la loro ori-gine?

La bocca, come ca-sa del ca’os, osa una res-posta, accenna un per-cor-so e s’imbriglia ancora prima di giungere alla porta. Aorta che corre, famelica, a div-orare un sorso d’acqua pura, una veste gener-ante, che spalanchi la via e l’avita allontani, in luoghi oltre il fossato. Os-tensore dell’es-se-re, premuto alle sponde di quel mare, un orto concluso dentro la parola voci-ferante, in-fera e fiera, ancora sporca di quel sangue da cui è nata, dimentica che questo è il luogo del sacro, il luogo dell’indifferenziato, il luogo in cui tutto può essere, il g-uscio in cui l’immondo è mondo la notte è giorno e non c’è prima o dopo, non c’è il tempo  non esiste lo spazio. Tutto è punto. Tutto è ante e ancora non cedente, non accaduto.Tutto è amnesia di una anamnesi, una storia che non ha un ordine,  cos-mesi ordinante. Poesia, poiein, significa produrre e  i poeti sono produttori di signi-ficazione. Ma la poesia è produzione di eccedenza, poichè uscendo dal re-cinto, dal ventricolo che pulsa in un solo senso, fuoriesce dalla significazione ordinante. Esce, si fa esca poesia, lisca del pesce, poiché il p, il punto, esce, se ne va  altrove dal muro del senso. Nietzche diceva che i poeti mentono, mentono troppo, essi oltrepassano il limite della ragione,  ec-c’è-do-no il senso. I poeti sono folli, poiché si nutrono della sostanza stessa della follia: il sogno,  il segno non traguardabile attraverso il consorzio dei pensieri raziocinanti. Per questo il libro è amnesia, il libro di poesia è acqua, amnios, minos e amnesia, arriva al punto, alla non dimensione, allo sconfinamento e non ordina con l’ordine consueto. All’inizio del lib(e)ro c’ è la Fine della Storia, ed è questa l’ante-fatto. Ed ec-cede per salmi, passando per bis-crome, bestie e luoghi, il poeta è matto, vive una mattanza della ragione. Attraversa pitture che si fanno cieli e terre, in un andirivieni di parole che sono il primo labirintico ventre di un vello d’o-re di variabilità che si fanno percorso da un punto all’altro, in una topo-logia senza misura: folle è l’unto e vive di pura relazione tra un qui e un là che si trova nel medesimo diedro, dietro ogni me stesso e dunque mai davvero raggiungibile se non per un salto, per un’alt(r)a vi(t)a. E’ un col-lasso del tempo, il procedere del testo , ed è un (s)asso nella manica questo andare senza contra-(d)dizione da un luogo ad un  altro senza altra identità, che un io che non è mai l’io del poeta. Qui si vive l’effetto-causa e non viceversa, come nella vita quotidina, ad una causa cor-risponde l’effetto, affetto di tempo e di stato, in un solo luogo. Qui il corpo della poesia è proprio lo s-natura-mento continuo di ciò che si dà per s-contato, qui non si paga due per prendere t(r)e, qui bi-sogna galoppare, nuotare  scivolare correre anche volare, certo, stiamo su una palla, ma. Non possiamo cor-reggere il tiro.  Dalla luna alla terra è l’in-finito l’o-sti(v)a che vince e noi come aghi c’infiliamo in una fuga, a perdita d’occh’io, a perdita di me-moria. Nella scatola nera, all’interno del cervello, in quel labirintico vascello di leggerezza e impulsi dove i quanti hanno son-dato e ricavato àmbiti re-moti, nessuno ha ancora trovato il filo, per giungere o raggiungere il centro. Nessuno è ancora il no-me che meglio dice chi so-no. La parola è solo un uscio…

La parola è il guscio del mondo

La parola è il guscio del mondo.
Il mondo parlato è seduto
sull’uscio bagnato tra
il corso del tempo e
il luogo del vuoto.

il vuoto del tempo
è il silenzio del mondo.
Il mondo dei corpi che scarta
l’involucro opaco del
nostro primordiale elemento.

Il dialogo dei volti
è il sangue del mondo.
Il sangue che affiora sotto
la pelle opalina dei
nostri umani discorsi.

Alle nostre parole esangui
successe col verso il
roseo incarnato del tempo.

.

E al centro, o quello che personalmente considero il centro del ventre e del labirinto del testo, due poesie si spartiscono i lobi del de-da-lo:

Fine di una storia

Non sono versi d’amore,

ma regole di fisica:

un vuoto che si riempie,

una figura che s’incastra.

Poi, un peso che ruota,

un altro vuoto si ricolma:

La nostra storia è una figura geometrica:

Chi ha veramente visto un punto?

*

Incendio

Tu sei il mio corpo.

Abbandonato, svanito,

sbiadito, rimpianto,

irriso, rinnegato,

incancellabile.

Tu sei il mio seme,

il delta orlato sul

precipizio, il ponte

ca(r)nale nel buio della neve

che cade indifferente e folle.

Fuma ancora sotto, la pelle

battuta e bruciata come l’asfalto.

.

Nota: mi sono permessa di mettere tra parentesi la “r” in ca(r)nale, nel testo originale non c’è, ma…non ho resistito al “parto” in quel canale che sentivo scorrere tra le vene di neve.

fernanda ferraresso- 5 novembre 2009

*  *  *

Riferimenti biografici:

Pasquale Vitagliano (Lecce 1965) vive e lavora a Terlizzi (BA). Gior­nalista ed editor per riviste locali e nazionali. Già presente in diverse Antologie di LietoColle, ha scritto per Lapoesiaelospirito, Italialibri, Na­zione Indiana.

5 Comments

  1. Anzitutto, davvero una presentazione molto bella e interessante, un filo che dipana e allo stesso tempo raggomitola nessi e connessi di mito-scienza-storia, un filo che allo stesso tempo rappresenta, nel suo essere dato e scritto, un labirinto (anche i segni della parola scritta sono tracce di labirinti, meandri semantici).

    Affascinante come le “forme” richiamino la noce del cervello umano un reticolo labirintico, e come in un labirinto la forma e il contenuto siano intimamente connessi, connesso il dentro fuori dello spazio, il contenuto e la forma contenente.

    Allora il titolo “La parola è il guscio del mondo” enuclea molto bene la parola come piena di un tuorlo semantico, cellula uovo che allo stesso tempo rappresenta il guscio-forma che in forma.

    “Il mondo parlato è seduto” , molto bello, così come molto bello lo sviluppo delle altre poesie che sanno usare il linguaggio per dire della “nostra” dimensione (“La nostra storia è una figura geometrica:” )

    (io penso sempre alla spira mirabilis, curva intimamente connessa a diversi meccanismi naturali, di crescita e altro, che effettivamente sviluppa un labirinto lungo i piani di una terza dimensione)

    complimenti
    ciao.

  2. Leggerò con attenzione la recensione di Fernanda. Merita stampa, (ri)lettura e riflessione per quanto è complessa e precisa. Le sue parole sono un faro.
    Il labirinto e la croce, alla raccolta vorrei dare questo titolo. Altro, al momento non riesco a dire. Se non un grazie per la lettura (lo studio, addirittura), che mi onora.
    Il ponte ca(r)nale mi sembra perfetto. Filosofale. La chiave di volta delle mie parole, di quelle di Fernanda e di questo nostro (neo)nato dialogo.
    A presto.
    Grazie anche a Margherita.
    E a Nàt? Un bacio (e basta).

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