Gli occhi, quante volte li ho tenuti spalancati, mentre avrebbero voluto chiudersi. Accompagnavo i miei genitori al treno. Ogni volta era di notte che partivano. La stazione, il luogo più deserto che conoscessi in quel periodo, la sentivo come la cosa più ostile e invece, già da quel tempo, mi insegnava ciò che è il senso del congedo, del buio, del vedere e del ri-conoscere. Ero tutt’o(re)cchi, quelle notti:volevo salvare in me la voce e il volto dei miei genitori che poi, per lunghissimi mesi, non avrei più rivisto né sentito, se non attraverso la parola scritta, versando in quell’inchiostro, segreto il nostro essere appartenenti ad un unico luogo, una casa che non ha pareti e non è domestica, ma vive in corpo, vive del corpo ed è ampia e profonda quanto un cielo stellato, non si ferma ai confini di nessuna nazione, non ha altra misura che l’ascolto. Questi versi mi hanno riportato quelle notti, spesso freddissime, poco prima dell’alba, quando ancora il buio, nel suo persistere in terra, sembra aumentare la percezione di ogni cosa e fa sentire che nulla è fuori da quell’immenso, ventre-ventricolo che ha un battito forte, più di ogni altra parola. ( f.f. 23 ottobre 2009)
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Anselm Kiefer- (1995) Sternenfall (“Falling Stars”)
I
Gli occhi che nella distanza chiudo
i pochi alberi all’orizzonte
la pioggia dalla finestra
«grazie per quello che fai
per i nostri bambini».
E poi un silenzio bianco
il riassunto, a millimetri
degli amori custoditi.
Uno solo è il male, una
la grande distanza che ci fa soffrire
erano questi gli occhi
e tu li avevi scambiati per altri occhi.
II
Passo nei minuti contati, nel suono di
una stanza chiusa senza porte e senza finestre.
È il luogo antico dove mi porti
una questione privata tra te e me.
Ecco gli oggetti nel buio
il chiarore del bacio che t’incontra
la mano che dimentica.
Se perdi il colore rimane il freddo
il senso nascosto del tuo confine.
Insegnami la lingua delle parole
mute, l’amore nel sonno, la distanza
della luce dal suo chiarore.
III
Sul treno le nuche a distanza
era di maggio appena finito
gli scarsi papaveri nella sera
orientale, le voci degli altri
gli oracoli dell’Est.
Il mare si estinguerà nei suoi confini
fino alle porte di Milano.
Luce tra i capelli che vi cerco
che vi dimentico, ti porterei
ti lascerei negli occhi
nello sguardo perduto di questa
canzone: ” chiudo gli occhi sui suoi occhi
e abbraccio la paura”.
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16 giugno, Ancona-Milano, verso sera
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Sebastiano Aglieco è nato a Sortino (Siracusa) il 29 gennaio 1961. Vive a Monza dove insegna nella scuola elementare. Ha fondato “Teatro Naturale”, un’associazione per l’espressività dell’infanzia e dell’adolescenza.
È autore di diverse raccolte poetiche, tra cui citiamo Dolore della casa (Il Ponte del Sale, Rovigo, 2006) e Giornata (presentazione di Milo De Angelis, Edizioni La Vita Felice, Milano, 2003). Vincitore nel 2004 del Premio “Montale Europa”. Interventi sulla poesia e inediti sono apparsi su varie riviste e in pubblicazioni collettive.
Dirige il blog “Radici delle isole”. È redattore del semestrale «La Mosca di Milano».
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Riferimento
Cara Ferni, il tuo bel cappello ai testi (bellissimi) di Sebastiano, non ha influenzato la mia lettura. Posso affermare, senza timore, che se avessi letto prima i testi, mi sarebbero venute in mente quelle scene di “partenza”, di congedo, che ci hai sagacemente illustrato.
Ti racconto una cosa: quando leggo i versi di Aglieco, mi accade qualcosa di strano, sempre. Leggendoli entro in quella misticità tipica di quando leggo o ascolto una preghiera.
Con rispetto e umiltà filtro i versi e assaporo tutta la loro “verità”.
gran bel post,
un saluto a tutti e due.
r.c.
Succede così anche a me, non volevo certo aggiungere nulla alla sua parola. E’ viva, liquida, per questo riesce a richiamare in me persino ciò che, con molto lavoro, mantengo dentro,nel profondo del solco, in un terreno che non lavoro da tempo, anche se,credo, lui lavora me ancora oggi. Ciao Roberto e grazie.f
Grazie, bella sorpresa! “quando leggo i versi di Aglieco, mi accade qualcosa di strano, sempre. Leggendoli entro in quella misticità tipica di quando leggo o ascolto una preghiera.” Ci devo pensare, è interessante.
Seb
Volevo dirti, Roberto, non ho ancora avuto il tempo di dirtelo, che nel mio ultimo libro RADICI DELLE ISOLE, ho inserito le mie note di lettura al suo bellissimo libro. Ciao, Seb
leggendo ho pensato all’ascolto
alla necessità di prestarlo per superare la distanza, ogni distanza
quella che, a volte, frapponiamo a cominciare dalle pareti domestiche
e non ci sono sguardi grandi abbastanza per dire quanta luce produca il suo chiarore
una messa a fuoco dalla “distanza”, dalla “grande distanza che ci fa soffrire” leggo in questi versi, in un movimento dal fuori, al dentro e ancora all’esterno, nei tre momenti
quasi un portare le ombre un poco più alla luce “Ecco gli oggetti nel buio”, non tanto per fugarle, quanto per non tenerle tenebre alla distanza (lontane appaiono più minacciose).
E dunque trovo il fulcro (magnifico) qui:
“Se perdi il colore rimane il freddo
il senso nascosto del tuo confine.”
coinvolta moltissimo dal tema, i miei complimenti
ciao