solo dieci pani– Anna Maria Farabbi, LietoColle 2009- Collana Il Graal.
E già nella scrittura della copertina faccio una sosta, raccolgo le briciole cadute, anch’esse hanno la sostanza del pane, sono pane.Vivono di terra e d’aria, si nutrono delle mani dell’uomo prima che l’uomo si nutra del loro corpo. E’ una eucarestia nella carestia del sentire: toccare il pane della fame per farne un campo da mietere, manna di cui cibarsi.
annamariafarabbi: tutte insieme e in aria, una briciola dietro l’altra, nella parte alta della pagina, sillabe corsive, una specie di cordigliera, cor-di-cella anno-data, o linea di orizzonte là, dove il mare si sfa e si rifà, tempo senza segni, là dove il cielo divarica le valve dell’ostrica, la mandorlamare, misterioso universo, versatosi ovunque e fattosi terra bestia roccia acqua fuoco e… v e n t o.Un fermento, un lievito che si sottrae al calco e al calcolo, ciclo e corsa del bambino che vuole vedere, toccare, sapere il perchè e. Ancora ha una penna d’oc-a in mano, scrive con leggerezza la pressione che il rosso gli schizza dentro, nella cavità prodigiosa, la vena maestra.
solo: come un assolo, per strumento musicale, un cello, un cembalo, o forse meglio un fiato, un respiro, tra la bocca e la gola, non importa di chi, purché scenda giù fino al ventre, al fuoco del pane, del corpo che si fa pane ed è il nostro, corpo universale in dieci case costruite dietro una sola porta, segno attraverso cui si nasce, attraverso cui si muore, bene-dizione della vita, che si nutre di ciò che cade cedendosi. Deca-logo: luoghi che sono casa della speranza, la sapienza della versatile sostanza della gioia, pane, nutrimento necessario per vivere.
dieci pani: la famiglia è numerosa e ha superato il limite della par-a-bola. Pani che sfamino, oggi, ne servono in gran numero poiché Caino ha moltiplicato la sua specie, anche se uccide, come accadde allora, per un gregge che lo segua, molti sono coloro che sopravvivono alle sue stesse armi. Il fuoco delle guerre non è lo stesso fuoco con cui si cuoce il pane? La parola con cui si nutrono i decaloghi dei trattati e delle dichiarazioni di guerra non è la stessa con cui si sfamano i popoli della terra?Meglio che si sciolga, che si liquefi la parola e bruci le interiora, per fare del corpo una ciotola, una cavità ospitante e tutto il resto sia migranza, un andare, persino fuori di sé, perdendo la cifra, l’origine del nome, uno zero, il primo anello del vuoto.
Poco oltre, dentro, l’uno, che è anche la singolarità dell’altro, os-serva, serba ciò che persiste ed è quanto di arcaico ci abita ancora, rendendoci vivi. L’odore, il segno im-materiale che penetra nel corpo, dando ciò che fa dell’assente una viva presenza.
Non ha suoni l’odore, non colpisce corde o pareti, è strumento nella cavità che lo ospita: pa(r)lato. Forse anche noi riusciamo ad annusare l’odore delle cose, mai le tocchiamo, masticandone il nome, quell’astra(a)zione che vorrebbe illuminare il mondo e resta al buio dell’inchiostro con cui tenta di arrivare ad un sacro che resta solo segno e tabernacolo del vuoto, l’inizio di ogni cosa, anteriore interiore che ci pareggia al margine di ogni tempo in una sola scrittura di continuità. Non è catalogabile, non si manomette l’odore, integro si precipita nel corpo, nemmeno la mente può afferrarlo, resta immutabile, intero, intangibile, il cerchio, l’anello che materializza il corpo dello spazio e del tempo, osmoticamente attraversando tutti i tempi e gli spazi, una istantanea luce oltre la velocità della luce stessa.Mangiare il pane e sentirne (assaporare e percepire l’odore) è mangiare la divinità, farsi (della) sua stessa sostanza, e-lì-minare la distanza.
Oltre, il tre, il quattro e ogni altro numero,sono segni che indicano il superamento della soglia, si è orbita e occhio, internoesterno non hanno frattura, la divinità non ha bisogno di esistere.
Il sei dice: la bolla d’aria della favola e del re, del favo delle mani, del fare delle fate e del fato immutabile, nel cristallino dell’occhio, nella limpidezza di uno sguardo di un neonato, dentro, ancora dentro il filo del creato,tra le dita della nonna e della mamma, nell’albero dell’origine.
Lascio il sette al riposo della pasta, trasmigro all’otto, il segno tra cielo e terra, l’infinita processione dell’indice che vuole in-seguire il volo e si perde nell’ombra, il cadere e il nascere, il risorgere del buio, perchè è così l’amore:sé-greto, in-conoscibile, ma profumato, odoroso, palpabile fioritura dei sensi.
Nove: tutte le nuove del viaggio, durato tanti giorni, tutti gli istanti della vita fino alla porta del silenzio, nell’eremo in cui cedere il proprio corpo, lasciandosi mangiare la parola, facendosi cibo noi stessi di quella bocca che ci ha dato di che sfamarci, pane con cui tenerci in vita e ancora, senza dire promuovere un canto, fattosi interiore, profondissimo, radicante e celeste terra di un altrove ormai in noi, corpo magnifico.
Ad Anna Maria che mi ha portato pane, un po’ di farina, l’a-vena del mio campo, con cui mieto il pensiero e la parola per farne grani con cui semino i passi nell’andare, nel pro-cedere anch’io fino all’ultima porta,la stessa da cui iniziai.
fernanda ferraresso- 31 agosto 2009
“Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam. /Et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam./Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me…”
Gregorio Allegri
Tratte da solo dieci pani
zero
.
andrò dalla vecchia
consegnandole il mio tempo
in una ciotola di argilla
.
al mio fianco il fiume scende
con dentro la montagna liquefatta
.
cercheranno la mia essenza acustica
e la migrazione della mia rondine interiore.
*
uno
.
Mi cercano nel paesaggio. Io sono uscita
.
morta diffusa; creo la quiete tra le tempie
mentre pellegrino scalza
nell’ombelico della madre.
Chiedendo se la mia voce esiste
o canta il linguaggio dei pesci
dove sono in che cosa si è trasformata
la radice dell’io.
.
Da animale a vegetale a minerale in pane.
.
La foresta bianco rosa dei ciliegi sulle sponde del fiume
improvvisamente si è mossa: l’odore
e i petali nella brezza si staccano all’unisono
vibrando una leggerissima intima
bufera.
la parola pane mi rimanda a mia madre, penso a quante volte ha spezzato con me il pane, del distacco, dell’abbandono, del possedere poco o niente
mia madre ama i numeri, le moltiplicazioni, le operazioni
fare, agire con la farina, impastare fino a sentirsi stanchi ma pieni, mai confusi
qualche giorno fa abbiamo riletto insieme il testo “le rose esplodono”e abbiamo provato a commentarlo insieme, ora mi fa piacere leggere questa lettura che ci porterà nuove riflessioni
un caro saluto e grazie della proposta
Elina
ringrazio anch’io voi e con voi Anna Maria per questo nuovo stare nella casa, nella vita, nella regale complessa semplicità. f
Anna Maria, con le sue parole, mi porta a salire alta, a vedere in modo distaccato tutto. A lasciare la vita da parte come se fossimo in volo nell’universo e lei mi conducesse. La voce di Anna è magica e magico il suo messaggio:
…andrò dalla vecchia
consegnandole il mio tempo
in una ciotola di argilla
In queste parole, tutto. Grazie.
Grazie Vittoria, per la lettura e la visita. Anna, come dice lei stessa, è difficilmente “in rete”. A presto.fernanda