Salvatore Romano-Donna con ape al dito
Per presentare questo autore uso la stessa sua nota, così come la si legge in un articolo della rivista ANTEREM, del marzo del 2008.
In tale nota sono riportate anche alcune poesie dell’autore pubblicate con la casa editrice Il Ponte del Sale, nella raccolta ” Il dolore della casa” (Rovigo 2006).
A integrazione vengono proposti inoltre nuovi inediti, già presentati nel blog di Francesco Marotta (La dimora del tempo sospeso) di cui si lascia il riferimento a conclusione, oltre che nella rivista letteraria ALI.
Sebastiano Aglieco: Nota teorica e poesie edite e inedite
La responsabilità della scrittura
Quando incominciamo a scrivere cerchiamo una voce che ci assomiglia; parole che abbiamo sentito e dalle quali vogliamo ricominciare. Questo è il primo contatto con i maestri, nella vicinanza o nella distanza dai loro scritti e dal loro insegnamento: distanza attraverso i libri, vicinanza nel sogno che ricostruisce e trasforma le parole in altri sogni.
Fare poesia, dunque, è l’atto collettivo del percepire e dell’essere percepiti, del
chiedere e del dare conto; ricompensa o abiura non importa. E’ la parola come sacrificio, cioè tramite del rendere possibile; dell’alzare il velo dell’apparenza che abitiamo.
Se la poesia è, in fondo, un dialogo col Nulla, con la natura deperibile delle parole e delle cose, essa deve prima attraversare l’umanità tutta, non c’è scampo. Forse è in questo attraversamento che si logora e nello stesso tempo si rende necessaria. Da questo punto di vista, dunque, non si scrive per narcisismo – è pura illusione – ma per attraversarsi. Attraversare il mondo.
Sento sempre di più questa necessità del ricevere attestazione e conferma; scrivere poesie presuppone il gesto della consegna, che è dono nella gratuità, e investe il lettore di un compito. Il lettore è colui che prende visione dei segni incisi, graffiati – questo vuol dire letteratura nella sua accezione etimologica – e se ne fa carico. Egli, tradendo il testo, consegna la tradizione del testo; ne permette il passaggio, il giudizio, nei tribunali della Storia. Il testo si fa giudicare.
La letteratura desidera ritornare a una sua concretezza. Desidera le cose reali, consegnate ai segni, all’immagine astratta dei segni. Questo desiderio non è più, s’intende, materia e carne delle cose, ma il nostos, la nostalgia di un ritorno impossibile. La condizione più naturale della scrittura, dunque, non è la scrivania, il salotto buono, e neanche il computer. La scrittura è ancora atto del graffiare sulla materia sensibile, dello sporcarsi le mani nei segni e disegni incisi nel grande libro dove la foglia è il foglio sono la stessa cosa.
La scrittura è transeunte: permette il passaggio e non rimane, ma rivive, nell’urgenza del nostro tempo, del nostro essere qui, ora.
Se è vero che ogni cosa, mentre vive contemporaneamente muore, la poesia non si sottrae a questo tragico destino e accetta di essere traccia cancellabile e labile. Ma non può rinunciare alla sua necessità, alla sua ineluttabilità: che non è ricerca di nuovo senso – sempre le foglie, noiosamente, cadono e rinascono – ma necessità del suo ruolo.
Ecco perché, a un certo punto, non servono più i maestri, non serve più la letteratura. Scrivere poesie è un gesto che improvvisamente ci lascia soli, nudi di fronte alle cose, agli altri, a noi stessi. Davanti al compito del dire senza gioco, inganno, ma con gli occhi puntati addosso.
Ho scritto libri senza necessariamente pensare a questo. Ma per presagio. Poi ho capito questo dalla lettura che gli altri hanno fatto dei miei libri. Lettore, ipocrita lettore, fratello.
Salvatore Romano- Autoritratto nella sua mano
Da La tua voce, inedito
All’insaputa della notte
quel fumo rappreso sul davanzale
portava i canti delle falene morte
il masso sospeso sulle teste
a ricordargli della fine
il primo villaggio
lo strato più intimo sotto
il taglio del lago.
Tu non conosci la pietra
e il segno di quella mano che
rovina nell’attesa.
Dietro le nostre sere, di
una piazza scolpita nelle parole
scivolata ancora più lontana
acerba nei ricordi dei poeti
– perché non sono mai stato come voi
perché non vi ho mai conosciuti
perché non mi siete mai appartenuti -.
Viscida, schifosa nella luce
mostrata veramente come la cena
della sera, qui, nel cerchio, e
consolato dalla durezza
estraggono a sorte, spaventano una
voce aprendola alla Storia.
Così disse, così rivide quello che
non aveva mai veduto, il ramo del
pianto, secco, l’indurita sentenza dei
poeti, questo sei tu, luce
inappagata, ombra rifranta.
.
Da Giornata, La Vita felice 2003
Tu non ridere di questo sconforto,
della pazienza persa, dei visi che mi
guardano e se ne vanno. Numi tutelari
hanno tracciato strade verso un silenzio
di ritorno, verso un niente che ritaglia gli occhi.
Non voglio più scrivere poesie;
da queste parole in vedetta
ci sarà il tempo di perdere tutto
il resto, tutto il niente che
non abbiamo ancora visto, tutto il
niente che non abbiamo ancora detto.
*
Terra incominciata, sei apparsa verso
sera in mezzo alle parole ed è finito
il mare. Il viaggio si ritrae per altri
anni, ma ora dobbiamo stare, finire il
lavoro che abbiamo incominciato.
Voglio parole in me, senza la musa
oscura che mi ha generato, senza la luce
dell’angelo. Omettere quell’oscuro presagio:
sulla soglia della casa ti perderai.
.
Salvatore Romano- Sensualità
Esiste un ordine e un tempo,
cerco questo in questo tempo:
macerie all’inizio della Storia
un bambino prima di essere bambino.
Guarda cos’è stato il giorno
nelle ore della pioggia: qualcosa è
accaduto e ci siamo già dimenticati.
Esiste il finire di un luogo
l’imparare a morire come all’inizio.
*
Perdonami, non sono all’altezza,
non so dove andare.
Eppure devi restare
devi sorgere dalle lenzuola
devi capire, nell’amaranto delle fragole,
il sangue del crocifisso che ci schizzò in faccia,
ricordi? in quella scena dell’infanzia.
Avremmo dovuto distruggerlo per quella nostra
promessa, trapassare i suoi occhi come nei sogni
fondare una parola che dicesse il dolore
che valesse per sempre.
Ma ora dobbiamo restare
ora che la distanza è netta
ora che ci giudicano e
non accettiamo il giudizio
non vogliamo essere degli altri
come gli altri.
*
Allora qualcuno capisce che tutto è sbagliato
che le parole ci hanno ingannati,
uscendo da una gora
o forse semplicemente volevano dire
che non ci apparteniamo.
Sulla carta il pensiero è violento
calma simulata
fiato trattenuto per non ingoiare il mondo
contenuto, è ingannato dalle forme
per dirle ci separa, ci fa scannare.
*
Scrivo nel lampo che il fiore imprime in me
preceduto dal respiro e dalla calligrafia.
Allora è il vento che mi respira , fratello,
incredulo di un ascolto che a tratti mi governa.
Non c’è più tempo per l’armamentario di
me e della vita mia.
.
Salvatore Romano- Donna con farfalla e occhio
NERO SEPPIA
In questo paesaggio
rimangono due mani che vangano la terra
un albero gira ed è tutta la preghiera.
Vorrei essere semplice nel dire
come questo tuo parlare senza colore
l’inizio del segno, o solo la sua conclusione.
Gli uomini sono nel mezzo.
Qualcuno si è allontanato e
ci ha lasciati soli
i poeti rimangono in un cappotto
sono attenti, nella distanza delle mani.
Chi è necessario dice ciò che resta
e non vuole niente.
*
Occhi appena detti nella veglia
liberarsi dall’incanto della neve
delle figure che tornano e pretendono.
Non c’è niente che ci renda felici
non esiste un canto per onorare tutti:
i morti che ci hanno preceduti
i vivi che ci hanno accompagnati.
Chiudere le porte. Ora basta.
Ma i bambini, i bambini in un’aula dove
un mondo è possibile, dove i debiti
saranno rimessi, i bambini che insorgono e
ci chiedono di spiegare il dolore del mondo!
*
Di questo non voglio niente
della casa e del rito degli affetti
delle contese e della storia in un luogo
dove tutti vivono
della chiarezza che pago a peso d’oro.
Costruisco ogni volta un senso coi bambini
li porto a guardare
ciò che saranno e in parte accetteranno:
sciocchezze, riti dello stare e del perdersi.
Di questo non voglio niente
il mondo si ferma e ride di me
o in un sogno reciproco ci desideriamo.
*
Ora sei il poema di me
vita finalmente libera
sei questo pensiero che ho sognato in segreto
il più debole e puro
che non ho realizzato:
essere prova di sé
nell’inganno del mondo
o nella sua salvezza
nei corpi che chiedono ristoro
nelle menti che desiderano una cosa.
Ma questo non sarà possibile
e niente sarà privo di dolore.
“Qui ingannati si sta bene” *
ma un po’ lontano io resto
in una casa protetta dal contegno
mura coatte, distacco e pavimento
un po’ in voi e un po’ ancora
in questa terra dove fallire è una vittoria.
*
Ma una parola nuova è solo una promessa
sospetto un inizio senza conclusioni
per lento soffocamento della parola,
una visione che a malapena prende forma.
Né sguardo, né bellezza
ma solo un vento che cancella e poi ritorna.
*
Io sono felice nell’estate forte
senza respiro
senza visione delle cose
senza il tempo della fatica
che chiede di essere onorata.
Un fermo confine
mostra la separazione
per preparare la preghiera.
Dio della voce ora calmaci
calmaci e custodiscici
dal vero nemico celato nelle parole.
Potenza delle azioni
che liberano e ci salvano:
“non voglio essere amato
voglio amare”.
*
Sei adesso
quello che nessuno dice e non ricordi.
Un baule di poesie sarà lanciato in un pozzo
verso una luce contraria.
Il viaggio è duro e finisce con un’asta
appartenuti a carne trattenuta
(neanche nostra).
Ci attende un fallimento
e le parole ci bruciano
una mano le sotterra
i versi anelano a una prosa chiara e limpida
ma è ciò che chiamiamo
“lotta dura e persa”.
Appartenere:
solo questo ha senso
solo a questo passaggio senza senso.
*
Io non voglio niente
di tutto questo non voglio niente.
Nella casa l’odore dei gatti e di una cena
distante il cuore, è più forte ciò che preme.
Ma occorre imparare che
sono quello che non credono e non perdonano
sono una mente sotterrata e palpitante.
Da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006
Ma questo sarà detto e
giustificato davanti al tuo dio
nell’incedere del tempo.
Queste parole che consumiamo
saranno pesate e disperate
e daranno tempo per tempo
pezzi di carne per un nuovo universo.
Ci sarà ancora il dolore
ci sarà l’attesa e un forte risentimento
le anime di nuovo dietro tutte le nostre parole.
*
UNA SERA HO PRESO LA BELLEZZA
Ora finalmente ti devo lasciare
devo imparare a dire
da questo distacco della
terra — il sole è giallo.
Nella mia carne ti riconosco e saluto
la bellezza che appassisce, ti
sacrifico le mie ultime parole e
non ti servo.
Muore chi deve morire
uccidimi, se vuoi, nell’ora dei vivi
colpiscimi con forza sul punto più alto
della testa, fallo nella piena luce
senza l’ombra delle parole
rinuncio a qualsiasi salvezza
a qualsiasi perdizione.
*
OLTRE IL GIARDINO
Tutto duro, di qua o di là
da una preghiera tra lo steccato e il
pane — movimento di un muro
crollerà l’universo sulle mie ossa e
rideranno di me questi piccoli capi
asserviti al potere di una scrivania.
Cerca il senso dove c’è stupore, e onore
impara che la morte è promessa
nel destino di tutti gli occhi. E allora
non temere le insegne del potere
e quando ti dicono: rinuncia
scendi a patti, accetta la perdita
dell’innocenza, abiura l’ingenuità
non fare l’offeso
accetta questo mondo o vattene.
*
AVVISAGLIE
Ma tu sei questo, questo soltanto
osso ben piantato nel cuore del mondo
e nella mia testa, nella visione di un mondo.
Accetta il colpire per dovere
– l’essere colpiti per dovere.
Ripeterò nella testa ciò che è taciuto
sotterrerò la pietà dei vivi per necessità.
Fuori: attesa e respiro
il racconto del mondo.
*
TI SARAI SVEGLIATO
Mettersi gli occhiali, guardare bene
per non sprecare le parole.
Ma il male è nelle parole che
vogliono dire il mondo e lo confondono
nelle parole che colmano una voce
sottratta per forza alla sua calma.
Accetta, allora, una breve bellezza
non cercata, sguardo indifferente
nelle cose incustodite.
Custodiscile finché non avranno
timore, indica la strada della loro
disillusione quando le luci, infine, verranno
accese e saremo liberati dal sonno.
*
CITTA’ NOTTURNE
Ti guardo e non parlo.
Era il dolore nei sogni antichi
erano i paesaggi notturni
del mio brancolare senza ali
altezza della fatica
nei pensieri segreti.
Erano città notturne incustodite e
vive, lasciate dagli uomini
assenti, in un altro luogo.
Una luce, questo ricordo
un battesimo di stelle che
chiedono l’ascolto di una voce.
Se scrivo di me, per me, è per tutti
perché non vi conosco, perché non
mi conoscete, come in tutti.
*
PICCOLA TREGUA
I
Ecco, ora hai finito di scrivere, hai ritagliato un
senso, scagionandolo da queste menti
c’è un tempo che sa accoglierci, più mansueto.
Poche immagini per dire ancora: casa
giardino, steccato. O per fermarti
difenderti dalle nuove migrazioni.
Alberi frontali, sentinelle di un cielo
sereno hanno una giustizia per tutti.
Qui siamo al sicuro
il vento di ponente non passerà.
II
Léggere, senza dolore, le immagini degli
alberi, le pietre miliari, le infinite
partizioni. I visi ci precedono nella corsa dei
fiumi — cammino nella campagna, appena
toccato dall’acqua scura.
Parlavi del nulla, delle parole sottratte al
timore delle foglie; guarda, sono calme
dicevi, la tempesta non si alzerà
gli argini sono alti, serrati.
*
Distanza netta (quando la carne diventa ombra)
Via, da questa masnada di arrivati!
Gli occhi sono premuti a dovere
gli occhi, come un piccolo cielo stinto
a dovere ci si arriva
alla prima fermata di un treno.
Voglio che le parole siano come un taglio
una certa ferita che non ci misura.
*
Scrivo alla stazione
tra le voci in singulto nel loro mancare
sono ciò che vediamo e siamo.
E attendo i ragazzi, ferito
nelle loro semplici sequele
specchiati contro il viso del mondo.
Scrivo nella fretta delle ultime parole
perché il sonno non dimentichi
la terra, perché sia contatto
voce contro viso, viandanti
nei colombi attesi delle nostre sere.
*
Non: ricorderemo.
Saremo: sempre
nell’istante fermato di una volta
nel gesto chiarito della luce del mattino.
Rinascere è dimenticare questo compito
scordare le parole dette nell’inganno
le nuove parole per ferire gli occhi.
Voglio rimanere in questa superficie
chiudere le porte dell’oscuro angiporto
il bacio di quel dio che
vuole in cambio tutto il mondo.
*
Rientro nel mondo
– le carte, i tuoi capelli
nel disordine, le mie inutili
cerimonie per gli umiliati.
E’ vera la pazienza nell’amore
vero è il disonore degli occhi
queste parole su un quaderno difficile
i miei occhi sospesi tra un
dentro e un fuori.
Forse hai ragione tu
il mondo non vuole servi
vuole la sua morte, in pace
il perdono, lo stupro quotidiano.
Il mondo senza di te dimenticalo
atterralo con le parole più
semplici del potere
con le parole di ciò che resta degli anni.
Descriverò la luce che
non ha tempo nei visi
ricorderò di me, appena passato
dove un albero si piega e
il bambino piange
– questo perdono, ogni tanto
me lo ricordo.
Avevi un soffio sui capelli
un presagio di vento nelle vene.
.
Salvatore Romano- L’adolesente dei sassi
E vi vedo in questo passaggio della terra
visi dei fratelli e dei nemici.
Tutti.
Non divisi ma uniti, feriti.
Nascondete il male di Caino
sotterratelo nel gelo della terra antelucana!
Perché, mio Dio, tutte queste poesie
trame degli arrivederci
lenzuola tagliate nella notte?
Fuggi via, lascia la casa vuota
alle pochissime parole ricordate:
onore, pazienza, perdono
quasi mi vergogno a pronunciarle.
Rinuncio a questo altissimo pianto
lo sguardo si chiude alla visione
di una scena antica
sottratta ancora a ogni svelamento.
*
Guarda l’amore che resta
l’amore senza ricordo di me
negli occhi del mondo.
Questo sarà l’amore giudicato
l’amore cantato dai fratelli, in coro.
Ma questo perdono, questo perdono tra
le nostre case, giustizia e fratelli
giustizia e fratelli – questo
compito chiedevo!
Accogli nella casa la moltitudine
o signora degli umiliati
signora delle nostre bende
nessuno parlerà, chiederà
ogni nome sarà benedetto nel suo respiro
ogni cosa ritornerà alla sua stessa idea.
*
Credo alla richiesta di un nome
affisso sui muri come un vessillo
una spada che ferisce il tempo della
consunzione, tre sillabe pronunciate
all’altezza del petto
aperte come i figli quando muoiono.
Credo alla sentenza del fiore
succhiato dalle bocche
al grido dell’Occidente nelle Leggi.
Credo a una piccola luce custodita nelle cose
alla litania degli umiliati
contro le porte della Storia.
Credo alle parole che conservano il proprio senso
alla nostra piccola morte quotidiana
prima della grande morte.
Morire in questo tempo, umili, nemici
con le mani in faccia prima del bacio
con la morte eretta senza disonore.
Credo a un quaderno,
a un maestro che mostra la gola
al sangue delle parole senza battesimo
qui, nell’ora mesta
nell’ora silenziosa della rinascita.
Guarda, da questa altezza
la terra spaccata
gli uomini come piccole bocche
che vangano la terra
guarda come piangono i mostri
come i fiori si sono sottratti alle corolle
guarda come i bambini retrocedono
nelle tue braccia.
Nell’ora del vespro e del tramonto
la carne diventa ombra
le ferite si sottraggono alla voce
ogni canzone proclama la sua umile vittoria.
Riferimento:
http://www.anteremedizioni.it/montano_newsletter_anno5_numero9_echi_aglieco_scrittura
http://rebstein.wordpress.com/2009/05/29/
Gli inediti conclusivi sono apparsi in:
ALI – rivista d’arte, letteratura e idee…
di cui si ha nota nel sito:
Per Salvatpre Romano:
penso che questa proposta/presentazione meriti grande attenzione
mi soffermo su un punto (uno tra gli altri che “parlano chiaro”)
contenuto nella nota dello stesso autore
“E’ la parola come sacrificio, cioè tramite del rendere possibile; dell’alzare il velo dell’apparenza che abitiamo”.
La poesia che attraversa l’umanità e che nel farlo si logora diventa così necessaria.
Leggendo le poesie dell’autore (che rivedrò con calma) nonchè alla luce di questa profonda lettura oso dire che ritrovo anche nella poesia di Fernanda lo stesso nocciolo forte e coraggioso,
in fondo la stessa terra sostanza
grazie,Elina
ti ringrazio ma sono consapevole della mia piccolezza letteraria.Ciò che scrivo è ciò che scrive in me e cerco di leggere senza fare uso del traduttore “io”- Aglieco ha registri differenti e una parola con sonorità decise,anche se poi, ci ritroviamo lungo gli stessi percorsi della vita, insieme ad ogni altro. ferni
Molto incisive le immagini, il bianco e nero sembra anch’esso una dicitura, come la parola sulla carta, come la notte dentro una giornata. Una bellissima proposta le poesie di Aglieco che cercherò e leggerò : un suggerimento tempestivo per questa estate. nicolò
leggo solo ora. intanto grazie.
Sebastiano Aglieco
Per noi una buona opportunità di risentire la presenza di un autore che, con una sua raccolta, è già parte viva delle pubblicazioni de Il Ponte del Sale. A presto.f