METE DI VIAGGIO- Raffaella Terribile: Un piccolo scrigno riscoperto: Santa Maria Foris Portas a Castelseprio.

 Santa Maria Foris Portas a Castelseprio

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A volte le cose più belle si scoprono quasi per caso, quando meno te le aspetti. E’ capitato così anche per la chiesetta di Santa Maria Foris Portas: un piccolo sacello altomedievale in rovina, costruito con murature di conci di pietre e ciottoli di fiume legati da malta grossolana, quasi inghiottito dalla fitta vegetazione del bosco a poco distanza da Castelseprio (Va), borgo ben noto come importante centro longobardo fortificato distrutto nel XIII secolo. Il 7 maggio 1944 Gian Pietro Bognetti si trovava sul posto per un sopralluogo con un gruppo di studiosi del comitato scientifico che collaborava alla Storia di Milano dell’Enciclopedia Treccani. L’interno della chiesetta appariva disadorno e in abbandono, ma sulla parete curva dell’abside centrale ecco riaffiorare inaspettatamente dei colori. Rimosso l’intonaco bianco, che risultò poi essere frutto di un intervento di scialbatura quattrocentesco, venne alla luce il ciclo pittorico altomedievale più importante dell’arte dell’Italia settentrionale, ancora oggi un unicum privo di confronti e tuttora al centro delle dispute degli studiosi per ipotesi cronologiche e attribuzioni.

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La chiesetta ha una forma particolare, a triconco (o trifoglio), con piccolo atrio rettangolare, sviluppo longitudinale ad ambiente unico, e tre absidi, una frontale e due laterali: una tipologia planimetrica che, se non comune, è comunque riconducibile a modelli orientali e tardo-antichi, rielaborati attraverso elementi occidentali, come segnalano i contrafforti esterni e la tecnica muraria, entrambi riconducibili a una tradizione costruttiva attestata in Europa in un lungo arco di tempo, dal IV-V secolo all’inizio del IX. L’analisi delle tecniche edilizie e dei materiali utilizzati non hanno ristretto l’ambito cronologico, anche perché la struttura è stata oggetto nel corso del tempo di parziali rifacimenti. Le indagini archeologiche hanno evidenziato diverse fasi di costruzione e di ristrutturazione: fu edificata come cappella annessa a un probabile xenodochio, cioè un ricovero per pellegrini, e poi radicalmente trasformata nel corso dei secoli. Un elemento importante per fissare la datazione è fornito dalla pavimentazione originale, a esagoni e triangoli in marmo e calcare bianco e nero secondo modelli che trovano riscontri anche in altri edifici altomedievali, come il Battistero di San Giovanni ad Fontes a Milano, Gravedona, Lomello, antecedenti all’invasione longobarda. La prima fondazione dell’edificio sarebbe quindi da fissare al V secolo. Le scene dipinte si svolgono sulla parete dell’abside centrale disponendosi su due registri sovrapposti e narrano l’infanzia e la vita di Cristo, partendo dall’antefatto, l’Annunciazione, e continuando con la Visitazione, la Prova delle acque amare, il Sogno di Giuseppe e L’andata a Betlemme (registro superiore), la Natività e l’annuncio ai pastori, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al tempio e altre tre scene andate pressoché perdute (registro inferiore).

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L’Angelo appare a Giuseppe per dissipare i dubbi della divina maternità

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L'Angelo appare a Giuseppe per dissipare i dubbi della divina maternità.

Maria supera la prova delle acque amare che le porge in una brocca il sacerdote Zaccaria.

Maria supera la prova delle acque amare che le porge in una brocca il sacerdote Zaccaria.

 

 

In alto, sulla controfacciata dell’arco che inquadra l’abside centrale, è rappresentata l’Etimasìa: si tratta della raffigurazione simbolica della seconda venuta di Cristo nel giorno del Giudizio (Parusìa), con una croce e una corona appoggiate su un trono vuoto tra due angeli che si librano sorreggendo ciascuno uno scettro e un globo. Sopra le finestre aperte nell’abside centrale erano dipinti dei tondi, di cui si conserva solo quello centrale con il Cristo benedicente. Sullo zoccolo sotto la finestra centrale una finta nicchia ripete l’allusione all’Etimasìa, ospitando un trono vuoto su cui è appoggiato un libro chiuso. La decorazione dello zoccolo prosegue poi lateralmente con altre finte nicchie chiuse da velari, su cui poggiano uccelli variopinti, iconografie e modalità trompe l’oeil che riconducono alla tradizione greco-orientale della pittura colta di ambito ellenistico e ai mosaici bizantini di Ravenna.

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abside centrale della chiesa di Sancta Maria Foris Portas

abside centrale della chiesa di Sancta Maria Foris Portas a Castelserpio.

Cristo pantocratore

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tondo-col-Cristo-Pantocratore

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L’andamento delle scene sulla parete dell’abside centrale va da sinistra a destra ma poi scendendo nel registro inferiore segue l’andamento opposto, da destra a sinistra, è cioè bustrofedico, presentando una infrazione alla pratica diffusa dei pittori di disporre la narrazione su più registri sovrapposti con lo stesso criterio della scrittura sulla pagina, e cioè ripartendo ogni volta da sinistra verso destra per fasce orizzontali. Anche la tecnica pittorica si rivelò essere qualcosa di diverso dal più comune affresco. La pittura murale che si sviluppa nel Medioevo per dieci secoli dal IV° al XIV° mescola spesso, soprattutto all’inizio, tecniche a fresco e a secco, con colori miscelati sia con la calce sia con leganti organici (uova, colla animale, olio). L’uso simultaneo di tecniche a fresco e a secco era motivato dall’applicazione dell’intonaco fresco lungo tutta la larghezza del muro da dipingere sul quale venivano montati i ponteggi con un’altezza tra i vari piani equivalente alla statura media di un uomo (1.60 metri circa). Procedendo dall’alto verso il basso, la pittura era eseguita per fasce orizzontali parallele, pontate, corrispondenti al piano del ponteggio dove l’artista e la sua bottega erano impegnati ad eseguire tutte le scene contemporaneamente prima che l’intonaco si asciugasse, perciò le maestranze dovevano essere ben addestrate al lavoro rapido e coordinato e in ogni caso il ricorso alle stesure “a secco” si rivelava alla fine necessario per uniformare l’intera composizione e apportare le inevitabili correzioni. In Santa Maria Foris Portas i dipinti murali mostrano l’intonaco applicato a pontate e dipinto a fresco solo sugli sfondi mentre i panneggi sono stati dipinti quasi sempre a secco come è evidente dal peggior stato di conservazione di queste ultime parti rispetto agli incarnati dei volti e ai fondali di ambientazione. La tecnica a secco è poi basata in questo caso sull’uso della cera calda, resina o gomma, come leganti dei pigmenti colorati (encausto), una tecnica usata dai Greci e dai Romani nell’antichità e praticamente scomparsa in Occidente dopo la caduta dell’Impero romano, soprattutto nei territori del nord, dove l’influenza bizantina non poteva giungere facilmente. La cosa più incredibile però è lo stile di questi dipinti: rapido, efficace, con un grande senso dello spazio, del movimento, della luce, resa a tocchi di lumeggiature, l’impaginazione ariosa delle scene, gli scorci, le ombre portate. Un anonimo artista che nell’alto medioevo non dimentica la prospettiva, non abbandona la spazialità, propone corpi solidi in ambientazioni verosimili e ricche di dettagli, con volti e fisionomie colte con un segno sapiente, vigoroso, efficace, in tutte le posizioni, di fronte, di profilo, di tre quarti, di scorcio. I colori passano ora gradualmente ora bruscamente dall’azzurro al rosso chiaro con lunghe pennellate “a sciabolata”, con sovrapposizioni di lumeggiature a calce per dare consistenza ai tessuti e creare efficaci effetti chiaroscurali, quasi cangianti, e a volte anche con tocchi brevi e diagonali, come era in uso nell’Oriente bizantino, per creare l’effetto del movimento delle vesti. Nell’epoca in cui l’Oriente si chiude nel preziosismo fuori del tempo dell’icona e in Occidente si afferma un’arte simbolica e antinaturalistica, altrettanto al di fuori delle coordinate spazio-temporali, un anonimo pittore in una piccola enclave a ridosso delle Alpi ha saputo ridare vita alla pittura antica. Come si spiega tutto ciò? Chi era questo pittore? Da dove proveniva? A quale epoca può datarsi il ciclo pittorico? Chi l’ha commissionato? Un indizio importante viene dalle fonti utilizzate per alcune scene: i Vangeli Apocrifi, ancora estranei alla cultura d’Occidente. Un altro indizio proviene dallo stile utilizzato nell’impaginazione della sequenza narrativa e nella realizzazione del disegno, nello stile delle figure. La sequenza dei riquadri inizia a sinistra in alto sulla parete dell’abside centrale con l’Annunciazione, con l’arcangelo Gabriele quasi sorpreso della propria irruenza, impostato con un tratto fluido, ricco di vitalità. Alle due figure della Vergine e dell’Angelo annunciante si aggiunge una donna che, seminascosta da una colonna, assiste, con un gesto di stupore, alla scena. Questo terzo personaggio che non compare nei Vangeli canonici potrebbe rappresentare una delle compagne di Maria che secondo il vangelo apocrifo dello pseudo Matteo avrebbero assistito ad una prima apparizione dell’angelo.

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Annunciazione e Visitazione-l’Angelo appare a Maria che ha in mano due fusi, Elisabetta incontra Maria.

Annunciazione e Visitazione-l'Angelo appare a Maria che ha in mano due fusi, Elisabetta incontra Maria.

La figura della Vergine, seduta su di uno sgabello, è rivolta di semi-profilo verso destra, la mano sinistra a stringere due piccoli fusi, e accenna coll’indice al proprio volto. I grandi occhi, alzati a guardare il volto di Gabriele, esprimono nello stesso tempo lo sgomento e il rapimento della fede. La presenza del fuso è tipica dell’iconografia della Vergine Annunciata in Oriente, dove l’atto del tessere ha un rimando anche simbolico al “lento inverarsi del verbo” nel grembo di Maria. Numerosi sono i confronti nell’iconografia bizantina, dove il filo che Maria avvolge è anche significativamente rosso, simbolo di regalità. La scena che segue è La Prova delle acque amare, tratta dal Protovangelo di Giacomo (capp. XV-XVII), una sorta di “ordalia” per dimostrare il concepimento avvenuto senza peccato da parte di Maria, incinta ancora prima delle nozze e perciò motivo di scandalo: davanti a un altare, il sacerdote fa bere a Maria una pozione venefica ricavata dalla soluzione in acqua della terra raccolta dal suolo attorno al tabernacolo. Nella scena Maria si china, schiude le labbra e beve da una bottiglia che il sacerdote le porge, rimanendo miracolosamente incolume dopo aver dichiarato la propria purezza. La fluente bianca capigliatura del sacerdote è trattenuta da un nastro su cui è inserito, al sommo della fronte, un rettangolo (forse un astuccio contenente una scritta sacra, propria del rituale ebraico). Le figure hanno naturalezza di atteggiamenti e di movimento, scorci e passaggi chiaroscurali ben graduati. I personaggi e gli oggetti hanno la consistenza plastica della realtà, ci sono libertà e fantasia compositiva, la lumeggiatura è pastosa con pochi toni cromatici principali che ottengono effetti di luminosità soffusa. La scena che segue è la Natività, dove si riuniscono vari momenti distinti con la nascita, l’affaccendarsi delle donne col bagno del bambino, il miracolo di Salomé, l’annuncio ai pastori, un Giuseppe in primissimo piano concentrato e meditabondo, molto pensieroso, come solo Giotto ha saputo restituirci nella Cappella degli Scrovegni. Ci troviamo all’interno di una grotta e all’esterno non ci si dimentica di rappresentare il paesaggio della campagna di Betlemme. Maria è il centro stupendo della figurazione: a fatica, appoggiando i gomiti, tenta di sollevarsi – in atteggiamento di abbandono ma con una certa regale eleganza – dal proprio giaciglio, quasi a voler sorvegliare con sollecitudine il bagno del piccolo: un atteggiamento che mi ha fatto ricordare la stessa sollecitudine rappresentata da Giovanni Pisano nel gesto della Vergine nel pulpito di Sant’Andrea a Pistoia. Una madre vera, ancora affaticata dal parto, che si preoccupa del suo piccolo, quasi a non volerlo perdere di vista. Cristo è posto in una piccola cassetta rettangolare, strettamente fasciato secondo le consuetudini del tempo, come nelle nostre campagne ancora sessanta anni fa. In primo piano è rappresentato con acutezza di dettaglio e gusto narrativo il bagno del neonato: una donna seduta sorregge il bambino che fuoriesce da una tinozza, essa ha il capo coperto da un panno annodato sulla nuca, secondo l’uso contadino, le maniche rimboccate e gli orecchini pendenti; un’altra donna versa acqua da un’anfora. Il miracolo di Salomé è anch’esso un episodio estraneo alla conoscenza occidentale, desunto dalla stessa fonte apocrifa che ci ha narrato della prova delle acque amare, il Vangelo dello Pseudo Matteo. La levatrice Maria Salomé, presente al parto, ha dei dubbi sull’eccezionalità di una nascita da una vergine, quindi vuole controllare personalmente la verginità di Maria: all’istante le si paralizza il braccio, disperata invoca la sua guarigione guardando intensamente la Madonna. Un’iscrizione dipinta contestualmente alla figura la qualifica come EMEA: parola che risulta la traslitterazione scorretta in caratteri latini del greco H MAIA, cioè “la levatrice”. Grazie alla mediazione del testo apocrifo l’iconografia della levatrice infedele passò anche in Occidente, dando addirittura origine a una “variante” iconografica in cui Salomé divenne Santa Anastasia, come attestano alcuni esempi di miniature di area francese, in realtà una contaminazione tra due personaggi distinti, essendo la santa mutila delle mani sin dalla nascita e “miracolata” grazie al contatto con il santo neonato. Anche l’annuncio ai pastori è un episodio che ha largo respiro: c’è il gregge di pecore che bruca, un grosso cane pastore rossiccio in bella evidenza, un ampio squarcio prospettico di paesaggio e l’angelo in volo. Passeranno secoli prima di ritrovare un paesaggio di tale ampiezza e respiro. Tutto si risolve in movimento e colore, come sarebbe piaciuto a Giotto.

.adorazione dei magi

adorazione dei magi..

Infine ecco l’Adorazione dei Magi: guidati dalla stella cometa arrivano i sapienti orientali e anche questa scena è rappresentata con uno scambio intenso di dialoghi e gesti fra i personaggi che è come se si muovessero sulla scena di una sacra rappresentazione. I protagonisti sono distribuiti su più livelli: a destra Giuseppe, più in alto – fra le rocce – Maria e il bambino Gesù sovrastati da un angelo, in primo piano, con un abile scorcio, si trovano i Magi, dal movimento vivace, dall’espressione arguta e dalle forme insolitamente allungate. Uno di loro si protende verso il Bambino, a cui porge un vassoio ovale; presso di lui vi sono i bagagli che ci raccontano delle fatiche di un lungo viaggio, dai confini della Terra; gli altri due parlano fra loro e il loro abbigliamento singolare indica ancora una volta nel nostro pittore un’attenzione decisamente circostanziata e realistica: un copricapo che ricorda un berretto frigio e una calzamaglia del tutto simili a quelli dei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, con identico gusto “esotico”.

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.viaggio a betlemme

andata a betlemme

Natività e Annuncio ai Pastori

Natività e Annuncio ai Pastori.

Arco Trionfale-Trono dell’Etimasia con Vangelo, corona e croce (Vittoria di Cristo) tra Angeli trionfanti.

Arco Trionfale-Trono dell'Etimasia con Vangelo, corona e croce (Vittoria di Cristo) tra Angeli trionfanti.

L’insistenza sulla immacolata concezione di Maria va sicuramente ricondotta nell’ambito di una polemica antiariana in cui si vuole affermare con forza il dogma della doppia natura, umana e divina di Cristo contro i sostenitori dell’Arianesimo. La doppia natura di Gesù e la sua missione sono sottolineate anche dagli elementi simbolici che intercalano la narrazione in alcuni punti: l’icona di Cristo Salvatore sull’asse centrale dell’abside, il suo viso e la sua parola, il libro chiuso sul trono; al di sopra dell’arco trionfale la sua regalità, l’etimasia (iconografia cristiana di origine orientale, “un trono sormontato da una croce”) con la corona e la croce. Chi può dunque aver commissionato questi dipinti? Quando? Un terminus ante quem è rappresentato da alcuni graffiti tra cui uno con il nome “Ardericus”, arcivescovo di Milano tra il 936 e il 948. Ma questo “prima” a quanto indietro può risalire? Bognetti li assegnò alla seconda metà del VII secolo, epoca in cui l’arianesimo viene contrastato dall’ortodossia cui i Longobardi avevano in gran parte aderito dopo il regno di Teodolinda e Agilulfo, in accordo con il papato nella lotta contro l’eresia. Tale ipotesi sarebbe artisticamente coerente con il particolare gusto ellenizzante presente a Costantinopoli prima della crisi iconoclastica e che maestranze di artisti fuggiaschi dall’Oriente avrebbero portato in Italia. Se la provenienza greca dei pittori è fuori d’ogni dubbio per la tecnica, lo stile, le fonti adoperate, la scritta imprecisa in lettere latine di una parola greca, l’aspetto cronologico presenta una serie di incertezze. In realtà la totale conversione dei Longobardi dall’Arianesimo è tutt’altro che pacifica, come sostenne Kurt Weitzmann, che spostò la datazione al X secolo, in virtù dei proficui rapporti diplomatici che in quel periodo legavano il regno d’Italia a Bisanzio. Altri studiosi al contrario retrodatano la cronologia addirittura al VI secolo, mettendola in relazione con la riconquista dell’Italia settentrionale da parte dei Bizantini al termine delle guerre Greco-Gotiche. Altri ancora allargano l’arco cronologico al periodo compreso tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo.Secondo un’altra tesi, la più recente in ordine di tempo, formulata da Carlo Bertelli, il ciclo di Castelseprio va inquadrato nel più complesso fenomeno di rinascita politico-culturale presente a Milano nei decenni centrali del IX secolo, momento in cui la città era tutta tesa a ridisegnare una sua precisa identità promossa dal vescovo Angilberto e dalla corte di Ludovico II, richiamandosi all’importanza del santo patrono Ambrogio. In questo contesto furono chiamati a Milano artisti di grande qualità per ornare di mosaici l’abside dell’antica Sant’Ambrogio e impreziosirne l’altare-reliquiario di lamine d’oro e d’argento finemente cesellate e impreziosite di gemme. Le datazioni al radiocarbonio delle travature in legno e le analisi dei laterizi alla termoluminescenza sarebbero in linea con questa ipotesi cronologica. I dipinti murali sarebbero stati quindi realizzati per un committente privato, importante, con un buona capacità di spesa, esigente al punto da richiedere maestranze “straniere”, greche, per un risultato qualitativo eccellente per qualità pittorica e complessità di ideazione, pari solo ai migliori prodotti della miniatura di corte. L’alta qualità formale si spiega in parte con innesti bizantini sulla componente culturale presente nei codici miniati di questa epoca, come il Salterio di Utrecht del terzo decennio del IX secolo. Il committente sarebbe stato, nel secondo quarto del IX secolo, il potente conte Giovanni, figlio di Leone, misso dominico dell’impero carolingio. Giovanni, conte di Milano e del Seprio dall’844, personaggio di spicco presso l’imperatore Lotario, di ritorno da un’ambasceria alla corte di Costantinopoli al seguito di Angilberto II, potrebbe aver condotto con sé uno o più artisti, portatori di istanze messe a punto in Oriente nel corso della crisi iconoclasta. Giovanni era di notevole statura politica e culturale, in grado quindi di promuovere l’importazione di sistemi artistici di area bizantina nelle terre lombarde e di impostare un raffinato programma iconografico. L’autore del ciclo, perciò, potrebbe essere un grandissimo artista proveniente dalle province dell’impero bizantino, forse un siriaco-palestinese di formazione costantinopolitana. Il vivacissimo dibattito critico ha sottolineato, inoltre, i possibili collegamenti tra questi affreschi appassionanti di Castelseprio col ciclo di pitture murali, sempre in Lombardia, della basilica di S. Salvatore a Brescia e i rilievi plastici della fronte dell’altare d’oro di S. Ambrogio a Milano. Le pitture dell’abside orientale sono un testo di qualità altissima, che sarebbe dunque contemporaneo in Italia agli esempi di Benevento e di S. Vincenzo al Volturno (Molise) al sud e di Mustair e di Malles nell’alta Val Venosta, a nord, sulla via Claudia Augusta che congiungeva Verona ad Augsburg attraverso l’alto Adige e i passi dei Grigioni. Al di là di scrivere la parola definitiva su questo mistero della storia dell’arte, resta un patrimonio di bellezza eccezionale che continuerà ad affascinare e a far discutere. Dal 1964 Gian Piero Brogetti lo scopritore della chiesetta, riposa nell’abside meridionale, dentro quello scrigno che ha saputo salvare dall’oblio del tempo consegnandolo per sempre all’umanità (dal 2011 nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco).

Raffaelle Terribile

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10 Comments

  1. il merito va tutto a Raffaella nostra guida di viaggi nella bellezza che esiste proprio a poca distanza da dove abitiamo ma a cui, a volte o anche molto spesso, non si pone l’attenzione che merita. Nelle sue presentazioni, la ricchezza delle memorie proposte e ricostruite con il filo che è quello per la passione per i luoghi, l’arte e anche la ricchezza della storia quando è storia di uomini in relazione con il tutto, nasce la voglia di andarci, di vederle e toccarle quelle tante meraviglie fiorite in epoche diverse ma tutte, tutte intimamente e profondamente nostre. Grazie Giorgina.
    fernanda

  2. Grazie Raffaella per quest’analisi filologica e storica perfetta, di un tesoro fra i più grandi della nostra pittura. In effetti non molti lo conoscono. Ricordo ancora le lezioni di Sergio Bettini su Castelseprio, che aveva sempre presente. La sua ipotesi, data l’altissima qualità di questo grande Maestro chiaramente costantinopolitano, era che si trattasse di qualche artista in fuga da Bisanzio dopo l’iconoclastia di Leone III, anche per l’area periferica e l’unicità del documento, che non ha altri esempi analoghi.

  3. Domani, sabato, ho deciso che mi concedo una giornata di vacanza e vado a Castelseprio!
    Ho già puntato la sveglia per partire presto. Grazie per la bella idea e per tutte le informazioni!
    fiammetta

    1. abbiamo in mente di preparare delle piccole guide, agili e ricche con mete di viaggio come questa, riguardanti il patrimonio sconosciuto dell’Italia e….sorpresa, ma ci stiamo lavorando e Raffaella sarà la guida di queste ipotesi di viaggio. Ciao Fiammetta, lieti di aver mosso la tua curiosità. ferni

  4. Ne valeva veramente la pena! Quel trono vuoto con il libro e la croce muove la parola e il silenzio. Per non parlare di tutto il resto…
    Anche la vicina Torba, dove sono affrescate le suore in preghiera, è molto interessante .
    Poi ho fatto un salto a Castiglione Olona. La sua collegiata e il suo battistero, con gli affreschi di Masolino da Panicale, meritano pure una gita.
    Grazie ancora!
    fiammetta

  5. grazie, Fiammetta, per aver raccolto l’invito ad esplorare questo piccolo scrigno! sono felice di avere suscitato curiosità attorno a questa meta tanto bella quanto misconosciuta ai più: a distanza di tanti secoli, l’arte è sempre generatrice di emozioni e di vita. La forza della Bellezza sta nel rendersi immortale attraverso la sensibilità e la conoscenza. grazie a tutte per la condivisione e l’apprezzamento!

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