PASQUALE DI PALMO- risposte sulle nuove piste battute dalla scrittura.

Nova Orbis tabula, 1694

studi duemilleschi, rivista annuale di storia della letteratura italiana contemporanea diretta da Cesare De Michelis, ha rivolto, tempo fa, OTTO DOMANDE SULLA POESIA ad alcuni poeti. Sembra che, come al solito, le domande restino praticamente le stesse e le risposte possano, anche a distanza di tempo, essere percepite come contemporanee. Cosa c’è dunque nella poesia, e in chi la vive e la scrive, a mantenere inalterate, seppur a distanza di tempo, con differenti vie intraprese, le medesime questioni, le medesime ricerche?

Pasquale Di Palmo risponde così alle domande che gli furono proposte.

Interv. Chi usa la lingua italiana si accorge ogni giorno di più di quanto ampia sia la sua esposizione ad altri strumenti linguistici, in primo luogo l’inglese, naturalmente, ma anche a tutte le lingue dell’immigrazione, e poi a quella vera e propria lingua seconda, che deriva essenzialmente dalla televisione. In che misura queste trasformazioni vengono accolte dentro il processo della scrittura?

P. Di Palmo. Ritengo che ci si debba misurare costantemente con ogni forma di contaminazione linguistica che caratterizzi la nostra epoca. Ma spesso, in chiave polemica, tendo ad eliminare dal tessuto semantico di un testo le forme troppo abusate del linguaggio “corrente” che rischiano di banalizzare ogni forma di comunicazione linguistica, come quella che deriva dall’ “idiotismo televisivo” di brodskijana memoria. Questo implica una visione della poesia che non insegua necessariamente i dettami di certe mode che spingono invece parecchi autori a farsi vicendevolmente il verso, creando una sorta di balbuzie tribale dalla quale emergono solo frammenti irriconoscibili di voci. Debbo dire che questo tipo di scrittura non m’interessa: la scrittura altro non è che uno strumento con il quale io posso liberamente coniugare allucinazione e rigore, delirio e geometria.

Interv Una delle impressioni più frequenti che si ricavano dalla più recente poesia è che esista un formidabile peso di tradizioni corte o cortissime, vale a dire la maniera dei poeti di una generazione appena precedente a quella dello scrivente, che si accompagna alla considerazione di tradizioni lunghe o lunghissime, il petrarchismo e la sua negazione ad esempio, ma che siano poco presenti le tradizioni se così posso dire medie, da Pascoli a Sereni, per non fare che due nomi, e che questo atteggiamento sia di portata più ampia della moda postmoderna e segnali una diversa relazione alla storicità. Se le cose stanno così, la poesia contemporanea ne esce più forte o più debole?

P. Di Palmo.Mi sembra che la poesia contemporanea sia troppo sfaccettata per poter sbilanciarsi in un giudizio preciso. Ho l’impressione di avvertire nelle nuove generazioni una tendenza a voler recuperare la tradizione «media » di cui parla Held, seguendo appunto la linea che da Pascoli porta a Sereni, ma spesso in virtù di una serie di equivoci in cui le mode culturali sono quanto mai presenti piuttosto che per una consapevolezza storica motivata. Si rischia così di fraintendere la reale lezione di questi autori, ispirandosi alla loro opera proprio nel momento stesso in cui la si accetta in maniera acritica e passiva. Ritengo, al tempo stesso, che la strada da seguire derivi dal recupero di un certo tipo di tradizione in un contesto che però privilegi l’eVettiva comunicazione con il lettore che, in questi decenni, si è allontanato in maniera decisiva dalla poesia, proprio a causa delle asperità di un linguaggio divenuto con il tempo sempre più solipsistico, specialistico. Spesso si è paragonata la poesia di Zanzotto – di cui peraltro ammiro moltissimo l’opera – al latino che un tempo il popolo non conosceva e con il quale era costretto a misurarsi, dando adito a interpretazioni fuorvianti e fantasiose, in occasione delle cerimonie religiose. Ebbene, dopo le sperimentazioni di Paul Celan o dello stesso Zanzotto, la cui opera è sempre in bilico con l’afasia, mi sembra che i poeti debbano tornare ad un linguaggio più semplice e diretto, che favorisca il ritorno della poesia alle sue funzioni specifiche di comunicazione, senza scadere però in canoni stilistici troppo consolidati. La poesia, quando è veramente tale, deve possedere le prerogative dell’azzardo…

Interv Come per la traduzione, così anche in poesia si parte dall’idea che non esistano i sinonimi e che non esistano due cellule ritmiche equivalenti. L’avanguardia ci ha insegnato che in effetti non c’è modo di negare la qualifica di verso a qualsiasi unità scritta che si voglia definire tale. Ma quali sono per lei i caratteri per i quali un verso è riconoscibile come verso?

P. Di Palmo.Ricollegandomi alla risposta precedente, mi sembra che, come per l’arte moderna, determinati precetti cari all’avanguardia hanno aperto la strada a parecchie mistificazioni, disorientando non solo il lettore medio ma gli stessi specialisti. La considerazione che per essere moderni si debba necessariamente essere “modernisti” – anche se la Waste Land eliotiana rimane, a mio avviso, il più alto risultato poetico novecentesco – ha forse fatto il suo tempo. Potenzialmente non rinnego nessun tipo di verso (anche se le mie preferenze si orientano in direzione di una musicalità spiccata, insita in quel percorso dell’endecasillabo che da Dante approda al primo Zanzotto), se il contesto nel quale è inserito ha una sua particolare valenza “storica” ma ritengo che un ermetismo fine a se stesso o una sperimentazione linguistica incontrollata incorporino tutta una serie di tentativi di emulazione che nascondono il vuoto. Certi poeti signiWcativi dei nostri giorni annoverano tra le loro le dei seguaci che, nel tentativo mediocre di imitarli, finiscono invece per assomigliare soltanto alla loro stessa mediocrità. E francamente bisogna diffidare di questi autori se non si vuole che anche la poesia divenga un genere frequentato dai soliti “fiutatori di vento” proprio perché è un genere morto, come è già accaduto per il romanzo. Già Breton, nel Primo manifesto del Surrealismo, considerava il romanzo come un genere sorpassato, proprio in virtù della scontatezza di certi suoi esiti sia tematici sia formali: «Tale atteggiamento genera oggi libri ridicoli, drammi ingiuriosi; si fa forte senza tregua nei giornali e dà scacco alla scienza, all’arte, adoperandosi a lusingare l’opinione pubblica nei suoi inWmi gusti; la chiarezza sino ai confini della stupidità, la vita dei cani. L’attività degli spiriti migliori ne risente; la legge del minimo sforzo finisce per imporsi a loro come agli altri. Una curiosa conseguenza di questo stato di cose, per esempio in letteratura, è l’abbondanza di romanzi. Ciascuno ci si mette con la sua piccola “osservazione”. Per necessità epurativa, Paul Valéry proponeva ultimamente di raccogliere in antologia il maggior numero possibile d’inizi di romanzo, molto aspettandosi dalla loro insanità».

Interv Leopardi scriveva quasi sempre in prosa i “contenuti” di quello che poi avrebbe trasformato in poesia; per molto tempo, dopo Mallarmé, la parola d’ordine «l’iniziativa alle parole» ha caratterizzato la modernità. Pensiero e lingua, cose e sostanza sonora, che cosa viene prima nella sua scrittura?

P. Di Palmo. Francamente non lo so. Spesso mi è capitato di comporre versi bellissimi nel dormiveglia o addirittura durante il sonno, perdendoli al risveglio irrimediabilmente. Non per niente ho intitolato la sezione di un mio libro Fiori del dormiveglia, proprio in riferimento a questo stato di cose. Penso che un determinato concetto venga metabolizzato dal poeta che risponde con la sua stessa carne e il suo stesso sangue alle aberrazioni di una società che risulta sempre più interessata a dettare le regole del profitto e del buon senso e che emargina o addirittura elimina – Pasolini docet – i suoi poeti.

Interv.In quale parte della casa scrive abitualmente? Con quale strumento? In quali ore del giorno o della notte? Ha bisogno di essere solo? E quando ha scritto una cosa chi è il suo primo lettore?

P. Di Palmo Mi trovo un po’ in imbarazzo a rispondere a questa domanda, in quanto non ho un particolare comportamento legato alla scrittura. Una volta preferivo vergare le pagine di un quadernetto con una stilograWca, adesso mi ritrovo a scrivere direttamente al computer, senza il filtro della composizione manuale. Devo però dire che c’è un labor limae quasi maniacale, che spesso mi fa ritornare, anche a distanza di parecchi mesi, intorno a uno stesso testo. Non ho peraltro l’abitudine di leggere le poesie a nessuno, salvo – in qualche rara occasione – a mia moglie che non si interessa di poesia.

Interv. Sente la necessità di apprendere a memoria i suoi poeti, di dire a voce alta i versi, di maneggiare la sostanza fisica, materiale della poesia? Da quali poeti, su quale strato di lettura si è costruito il suo bisogno di scrivere, si è formata la sua idea di poesia?

P. Di Palmo Non sento la necessità di imparare a memoria i versi, bensì quella molto prepotente di interiorizzarli. Ritengo che ogni lettura debba rappresentare una sorpresa, anche a distanza di tempo, e certi esiti meccanici insiti nella memorizzazione sono troppo sfavorevoli a questo tipo di approccio. I poeti che hanno eVettivamente intuito sulla mia formazione sono numerosi e spesso di stampo diVerente. Limitandomi ad autori stranieri del Novecento farei i nomi di Artaud, Eliot, Mandel’sˇtam e Brodskij; per gli italiani Sbarbaro, Campana, Saba e Sinisgalli.

IntervEsiste oggi qualcosa che si possa definire il gusto del pubblico, in poesia, se sì, che cosa lo determina?

P. Di PalmoPenso che il gusto del pubblico spesso si determini solo in funzione delle mode culturali, a causa magari di motivazioni extra-letterarie. Un esempio sintomatico potrebbe essere  L’attimo fuggente di Peter Weir – peraltro una brutta copia di Au revoir les enfants di Louis Malle – che altro non ha fatto che consolidare le convinzioni di moltissimi aspiranti poeti che per diventare come Ungaretti o Montale fosse sufficiente dare libero sfogo a qualsiasi tipo di prurigine adolescenziale o pseudoadolescenziale.

Interv La forma generale di comunicazione che determina il nostro modo di stare nel mondo, oggi, accoglie dentro di sé in misura sempre maggiore elementi di astrazione, di concettualizzazione, di intellettualizzazione, il principale riflesso di tale stato di cose nell’arte in generale è un attenuarsi progressivo del suo legame

P. Di PalmoRitengo che, proprio in considerazione di un implicito anacronismo, le strutture della lirica possano essere recuperate appieno (senza però mai scadere in certe forme abusate di “poeticismo” o di sentimentalismo fine a se stesso dalle quali lo stesso Montale metteva in guardia quando parlava di «quei malintesi che sorgono spesso in quel demi-monde pseudoculturale dove si continua a credere che i buoni sentimenti creano, infallibilmente, la buona letteratura»). Mi sembra che l’opera di una poetessa come Giovanna Bemporad ben incarni questa frattura che si è venuta a creare tra la temperie classica e la dimensione quasi statica, atemporale nella quale questa sua opera sembra inserita. Il suo classicismo “delirante” crea un senso di straniamento più evidente rispetto ai vuoti campionari sintattici di tanti autori della cosiddetta neo-avanguardia. D’altro canto la marginalità nella quale è stata condannata finora questo tipo di poesia deve tradursi come l’unico rimedio possibile alla forza sempre più erosiva e dirompente dei media. In altre parole, il fatto che la poesia tout court abbia conosciuto una situazione di precaria sopravvivenza ha permesso, paradossalmente, che questa precaria sopravvivenza la preservasse dalle manifestazioni agglomeranti di una società ignara delle sue fantasmatiche rivelazioni. Il pericolo infatti è che un interesse specifico nei confronti della poesia non possa che derivare da una mirata attenzione dei media verso qualsiasi forma di potenziale prodotto commerciale. Il rischio che si corre è che la poesia diventi un fenomeno di moda, non svincolato – com’è stato in parte sinora – da interessi economici o di parte, svilendo quella che, negli scorsi decenni, veniva considerata a torto come uno dei maggiori limiti di questa disciplina, ovverosia la semiclandestinità.

Riferimenti:

http://digital.casalini.it/ricerca/APS_DocumentoOnline.asp?pdf=http://digital.casalini.it/pdftemp/18092009103439PM.PDF&tipo=N&policy=P1&DOI=

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